L’articolo 29 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, al comma 2, lettera a), stabilisce che sono esclusi dal campo di applicazione delle regole “generali” sul contratto a termine i contratti di lavoro a tempo determinato con i dirigenti, che non possono avere una durata superiore a 5 anni, salvo il diritto del dirigente di recedere a norma dell’articolo 2118 del codice civile, una volta trascorso un triennio.
Quindi, è possibile assumere un dirigente con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato per più di 24 mesi, arrivando fino a 60 mesi (5 anni). Il dirigente ha però il diritto di recedere, ossia di dimettersi (tale facoltà non è invece espressamente normata per quanto concerne operai, impiegati e quadri) dopo 3 anni di lavoro, dando il preavviso che inizia a decorrere dalla fine del terzo anno di servizio.
Ad avviso della giurisprudenza, i 5 anni di cui sopra non rappresentano l’arco temporale massimo entro cui va contenuto il rapporto, comprensivo di eventuali proroghe o rinnovi, ma solamente il vincolo di durata massima del singolo contratto.
La Corte di Cassazione, nella sentenza 10 luglio 2017, n. 17010, ha affermato che nei confronti dei dirigenti non sono applicabili le disposizioni che, in caso di superamento del termine massimo, ne comportino la conversione, senza che tale interpretazione, data la natura fiduciaria delle funzioni svolte e del peculiare ruolo di preminenza gerarchica e/o professionale assegnato, contrasti con l’art. 3 Cost. o con la normativa europea in materia.
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore
Fonte: Sistemiamo l’Italia