Quali Stati all’interno della UE hanno introdotto un obbligo di fatturazione elettronica? Quali sono gli standard di fatturazione elettronica previsti in ambito Europeo? Quali standard sono maggiormente diffusi? In questo contributo andremo a dare una risposta a tutte queste domande.
Con la pubblicazione della Direttiva 2014/55/UE del 16 aprile 2014
relativa alla fatturazione elettronica negli appalti pubblici, il Parlamento Europeo e il Consiglio
hanno voluto porre rimedio ad un contesto europeo caratterizzato dai seguenti
aspetti:
– presenza di tanti formati di
e-fatture, senza che nessuno sia prevalente e con un basso livello di interoperabilità;
– assenza di una
norma europea in ambito fatturazione elettronica negli appalti pubblici, rilevando che quando vi è un obbligo di e-invoicing
B2G (business to government), i singoli Stati
definiscono soluzioni tecniche sulla base di norme nazionali;
– costi eccessivi e
scarsa concorrenza determinati dalla scarsa interoperabilità delle norme che producono complessità, incertezza del
diritto e costi aggiuntivi per le aziende, soprattutto nell’ambito degli
appalti pubblici transfrontalieri.
Era quindi necessario
intervenire per elaborare una norma europea comune con riguardo ad un modello semantico dei dati degli elementi
essenziali della fattura elettronica, consentendo in tal modo di inviare
e ricevere fatture elettroniche tra diversi sistemi che, pur impiegando diverse
tecnologie, fossero in grado di garantire l’interoperabilità semantica e consentire alle pubbliche
amministrazioni e ai loro fornitori di creare vantaggi significativi in termini
di risparmi economici e riduzione degli oneri amministrativi.
Obiettivo principale era quindi automatizzare l’elaborazione dei dati contenuti nella fattura e
garantire l’interoperabilità tra i
diversi sistemi al fine di assicurare il
trattamento delle informazioni in modo uniforme nei diversi sistemi gestionali,
indipendentemente dalla tecnologia, dall’applicazione o dalla piattaforma
utilizzata.
Diversamente dalla
Direttiva 2010/45/UE del
13 luglio 2010 che definiva la fattura elettronica come una fattura “emessa e ricevuta
in formato elettronico”, la Direttiva
2014/55/UE la definiva come “un formato elettronico strutturato che ne
consente l’elaborazione automatica ed
elettronica”, evidenziando quindi
la necessità di adottare formati XML che consentissero di automatizzare l’interpretazione
dei dati contenuti nei file.
Venne quindi richiesto all’Organismo Europeo di Normazione (CEN) di elaborare una norma europea per il modello semantico dei dati degli elementi essenziali di una fattura
elettronica, ed al contempo deciso di introdurre un obbligo per le pubbliche
amministrazioni dei diversi Stati membri di ricevere
ed elaborare fatture elettroniche purché conformi alla norma europea sulla
fatturazione elettronica.
Con la
pubblicazione della Decisione di esecuzione (UE)
2017/1870 della Commissione del 16 ottobre 2017, vennero pubblicati i riferimenti alla norma europea sulla fatturazione elettronica EN 16931-1:2017 ele due sintassi conformialla
suddetta norma: lo standard Cross Industry Invoice XML dell’UN/CEFACT (i.e.
CII 16B) e lo standard Universal Business Language ISO/IEC
19845: 2015 (i.e. UBL 2.1)
In ambito Italiano, con la pubblicazione del
Decreto Legislativo 27 dicembre 2018 n. 148 di recepimentodella direttiva 2014/55/UE, veniva
stabilito che dal 18 aprile 2019 le
amministrazioni governative centrali (i.e. la Presidenza del Consiglio dei
Ministri e tutti i Ministeri) dovevano essere in grado di ricevere ed elaborare le fatture
elettroniche conformi allo standard europeo sulla fatturazione elettronica
negli appalti pubblici (EN
16931), mentre dal 18 aprile 2020 l’obbligo riguardava le restanti pubbliche
amministrazioni locali.
Mentre quindi in ambito Europeo vi è ad oggi un obbligo normativo per
tutte le pubbliche amministrazioni di essere in grado di ricevere ed elaborare fatture elettroniche conformi allo standard
europeo EN 16931 (e quindi CII 16B e UBL 2.1), non tutti i 27 Stati Membri hanno introdotto un obbligo
di fatturazione elettronica B2G che impone ai fornitori la trasmissione della
fattura elettronica in solo formato digitale. Ad oggi infatti solo 15 Stati
Membri hanno introdotto un tale obbligo, tra cui per esempio la Francia, la
Spagna, l’Austria, il Belgio, la Danimarca, l’Italia e la Germania (da novembre
di quest’anno), ma è chiaro che l’adeguamento alla direttiva 2014/55/UE spingerà
i restanti Stati ad andare in tale direzione.
E’ interessante poi osservare come diversi Stati Membri si sono dotati
di una propria piattaforma centrale nazionale di fatturazione elettronica, come
per esempio la Croazia, la Francia, la Repubblica Ceca, il Portogallo,
l’Italia, mentre altri hanno preferito appoggiarsi direttamente alla
infrastruttura PEPPOL
eDelivery Network. Con riguardo poi agli standard utilizzati, premesso che ad esclusione
di un paio di Stati sono tutti in grado di ricevere ed elaborare fatture elettroniche conformi allo standard europeo EN 16931 (obbligo imposto dalla direttiva 2014/55/UE),
va rilevato che vi è una marcata prevalenza ad orientarsi verso il formato
PEPPOL-BIS (Business
Interoperability Specifications), che impiega lo standard UBL 2.1 ed è aderente alla norma EN 16931.
In ambito B2B e B2C, solo l’Italia ha adottato un obbligo generalizzato
di fatturazione elettronica, e mentre in alcuni Stati è stato introdotto un
obbligo di tax-reporting (e.g. Portogallo, Ungheria, etc), visti gli ottimi
risultati raggiunti nel nostro Paese, già diversi Ministri Economici stanno
guardando con favore al nostro modello di hub centralizzato gestito
dall’Agenzia delle Entrate, soprattutto per i risultati ottenuti nel monitorare
i contribuenti e nel contrastare il gap IVA. Nel corso del 2019 infatti, sono
transitati dal sistema di interscambio ben 2,09 miliardi di fatture
elettroniche emesse da circa 3,9 milioni di soggetti IVA, con un livello di
fatture scartate molto basso (2,4%) a conferma che le soluzioni
adottate da aziende e professionisti hanno consentito di trasmettere dei file
perlopiù corretti. Dal lato dell’Agenzia delle Entrate, l’obiettivo di
contrastare l’evasione Iva è stato raggiunto, dato che nel corso del 2019 sono
stati individuati e bloccati falsi crediti Iva per € 945 milioni, mentre
rispetto all’anno precedente le entrate Iva sono aumentate di ben € 3,6 miliardi.
Da rilevare infine la presenza all’interno della UE di diverse
criticità in ambito fatturazione elettronica, come del resto rilevato di
recente dalla stessa Commissione Europea, tra cui l’assenza di una comune
procedura nel garantire l’autenticità e l’integrità delle fatture elettroniche
tramite il controllo di gestione (i.e. Business Controls that create a reliable Audit
Trail), e le troppe differenze con riguardo alla conservazione
digitale. Su quest’ultimo aspetto, premesso che a norma degli articoli 245, 246
e 247 della Direttiva 2006/112/CE sono i singoli Stati Membri che
stabiliscono le regole in tema di conservazione digitale delle fatture
elettroniche, va detto che vi è una enorme diversità sia con riguardo alle
procedure (in alcuni Stati Membri particolarmente complesse mentre in altri molto
semplici) che agli anni di conservazione, dato che in alcuni Stati vi è un
obbligo di conservazione di almeno 10 anni (e.g. Germania, Italia, Portogallo,
etc), in altri 7 (e.g. Austria, Belgio, Svezia, etc), in altri 6 (e.g. Francia,
Irlanda, Finlandia, etc), ed in altri 5 (e.g. Danimarca, Grecia, Ungheria,
etc).
A cura di Umberto Zanini – Dottore Commercialista e Revisore Legale.
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Fonte: Sistemiamo l’Italia