L’articolo 41 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148 (sostituito dall’articolo 26-quater, comma 1, del decreto legge 30 aprile 2019, n. 34, inserito dall’allegato alla legge di conversione 28 giugno 2019, n. 58, con decorrenza dal 30 giugno 2019), per i soli anni 2019 e 2020, disciplina il cd. contratto di espansione, che è stato esaminato dal Ministero del Lavoro nella circolare 6 settembre 2019, n. 16.
L’istituto del quale ci stiamo occupando interessa i processi di reindustrializzazione e riorganizzazione delle imprese con oltre 1.000 dipendenti (nel computo dell’organico si computano anche i dirigenti e gli apprendisti) che – a fronte di una strutturale modifica dei processi aziendali per il progresso e lo sviluppo tecnologico dell’attività, e l’esigenza di modificare le competenze professionali in organico mediante il loro più razionale impiego – prevedono l’assunzione di nuove professionalità: in tal caso l’impresa può avviare una procedura di consultazione sindacale per stipulare un contratto di espansione con il Ministero del Lavoro e con le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o le loro RSA o la RSU.
Contenuto – Per espressa previsione normativa, il contratto deve individuare quanto segue:
- numero di lavoratori da assumere, distinti per qualifica e profilo professionale, nonché i loro profili professionali compatibili con i piani di reindustrializzazione/riorganizzazione;
- programmazione temporale delle assunzioni, specificando tipologia e durata a tempo indeterminato dei contratti, compreso l’apprendistato professionalizzante;
- riduzione media dell’orario di lavoro e numero di lavoratori interessati, nonché numero di chi può accedere alla risoluzione anticipata del rapporto;
- progetto di formazione e riqualificazione dei lavoratori.
Formazione e riqualificazione – Quanto al personale che, per la modifica dei processi, del progresso e sviluppo tecnologico dell’attività produttiva, possiede conoscenze e know-how non più adeguati per svolgere una determinata attività, l’impresa deve presentare un progetto di formazione e riqualificazione che può intendersi assolto, previa idonea certificazione, fornita da organismi terzi, quando il datore ha impartito o fatto impartire l’insegnamento necessario per conseguire una diversa competenza tecnica professionale, rispetto a quella cui è adibito il lavoratore, utilizzando la sua opera in azienda, anche con la sola applicazione pratica. Il progetto, che è parte integrante del contratto di espansione, descrive:
- misure idonee a garantire l’effettività della formazione e necessarie per far conseguire competenze tecniche conformi alla mansione a cui sarà adibito;
- contenuti formativi e modalità attuative;
- numero di lavoratori interessati e ore di formazione;
- competenze tecniche professionali iniziali e finali;
- previsioni di recupero occupazionale, ossia il rientro in azienda dei lavoratori sospesi o come riassorbimento in unità diverse della stessa o in imprese terze: il numero di lavoratori coinvolti da riduzioni orarie e formazione deve essere non inferiore al 70%, e l’impresa deve garantire che almeno il 70% del personale coinvolto nelle riqualificazioni acquisisca le nuove competenze e rientri nel circuito produttivo.
Cigs – In deroga alla disciplina generale, l’intervento della cassa integrazione guadagni straordinaria può essere richiesto fino a 18 mesi, anche non continuativi, per i soli anni 2019 e 2020, con conseguente possibilità di fruizione anche nel 2021.
Risoluzione anticipata e indennità mensile – Per i lavoratori che si trovino a non più di 60 mesi dal conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia, che abbiano maturato il requisito minimo contributivo, o anticipata, con accordi di non opposizione e su esplicito consenso scritto degli interessati, il datore riconosce per tutto il periodo e fino a raggiungere il primo diritto a pensione, a fronte della risoluzione del rapporto, un’indennità mensile, comprensiva della NASpI ove spettante, commisurata al trattamento pensionistico lordo maturato al momento della cessazione del rapporto, come stabilito dall’Inps.
Se il primo diritto a pensione è quello per la pensione anticipata, il datore versa anche i contributi previdenziali per conseguire il diritto, escluso il periodo già coperto da contribuzione figurativa a seguito della risoluzione del rapporto di lavoro.
Tale prestazione può essere riconosciuta anche tramite i fondi di solidarietà bilaterali di cui all’art. 26 già costituiti o in corso di costituzione (con particolare riguardo a tale questione si rinvia alle precisazioni fornite dal Ministero del Lavoro nella circolare 17 ottobre 2019, n. 18).
Il Ministero ha precisato che possono consentire all’uscita anticipata quei lavoratori che:
- si trovino a non più di 5 anni dal conseguimento della pensione di vecchiaia;
- abbiano maturato il requisito minimo contributivo;
- si trovino a non più di 5 anni dal conseguimento della pensione anticipata.
Riduzione di orario – Per coloro che non possono beneficiare della risoluzione del rapporto con indennità mensile, è consentita una riduzione oraria cui si applicano le disposizioni ex artt. 3 (misura della Cigs) e 6 (contribuzione figurativa). La riduzione media oraria non può superare il 30% dell’orario giornaliero, settimanale o mensile dei lavoratori interessati. Per ognuno, la percentuale di riduzione complessiva dell’orario può essere concordata, se necessario, fino al 100% per l’intero periodo per cui il contratto di espansione è stipulato. Durante il periodo di sospensione il lavoratore deve essere formato e riqualificato.
Infine, l’impresa che intende accedere alla Cigs per i lavoratori in riduzione di orario o in sospensione d’attività deve presentare istanza telematica al Ministero del lavoro.
Risorse – Con particolare riferimento alla riduzione dell’orario di lavoro, va osservato che la Cigs è riconosciuta nel limite totale di spesa di 15,7 milioni di euro per il 2019, e di 31,8 milioni di euro per il 2020. Se nel corso della procedura di consultazione emergono scostamenti, anche prospettici, rispetto a tale limite di spesa, il Ministero non può sottoscrivere l’accordo governativo e, quindi, non può prendere in considerazione ulteriori domande di accesso a tali benefici. L’Inps monitora il rispetto del limite di spesa, fornendo i risultati dell’attività di monitoraggio al Ministero del lavoro e a quello dell’economia e finanze.
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore.
Fonte: Sistemiamo l’Italia