Si, fin dal primo manifestarsi della crisi epidemiologia, il cd. smart working – disciplinato dagli art. da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81 – è stato individuato come uno degli strumenti principali per consentire alle imprese di proseguire l’attività. I primi DPCM emanati hanno subito previsto che il datore potesse richiedere al dipendente di eseguire la prestazione “a distanza”, anche senza il suo consenso, informandolo in via telematica (di norma via mail) sui rischi generali e specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro: a tal fine è possibile ricorrere alla documentazione disponibile sul sito dell’Inail.
Per
il caricamento massivo delle comunicazioni di lavoro agile
nell’emergenza, sul portale del Ministero del Lavoro è attiva una procedura
semplificata, che consente di caricare un’auto certificazione (formato pdf),
con l’elenco dei lavoratori che lavorano in modalità “agile”, nonché il file
excel (formato .xlsx), con: CF di datore e lavoratore, dati anagrafici, numero
PAT e voce di tariffa Inail applicata; data di inizio e fine del periodo di smart working in deroga.
Il D.L. n. 18/2020, all’art. 39, ha
poi previsto che, fino al 30 aprile, il dipendente disabile e chi ha nel
nucleo familiare una persona con disabilità, ha diritto a svolgere la
prestazione in modalità “agile” purché essa sia compatibile con le
caratteristiche della prestazione. La stessa norma dispone poi che va
riconosciuta la priorità nell’accoglimento delle domande di lavoro in modalità
agile a favore del lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate
patologie con ridotta capacità lavorativa.
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consultente aziendale e formatore.
Fonte: Sistemiamo l’Italia