L’invio di un lavoratore in trasferta costituisce una prassi assai frequente e presenta molti aspetti di cui tener conto: riepiloghiamo quindi le questioni più rilevanti, alla luce delle ultime istruzioni amministrative e delle sentenze più interessanti.
Il termine “trasferta” identifica il “mutamento temporaneo del luogo in cui dovrà essere resa la prestazione”, accompagnato quindi dalla certezza del rientro del dipendente nella propria abituale sede di lavoro. Ciò che rileva – e che differenzia tale situazione da quella del dipendente cosiddetto “trasfertista” – è che il lavoratore risulti stabilmente in forza presso una determinata sede aziendale, individuata nel contratto di lavoro o in un atto successivo, e che da tale sede si sposti per eseguire la prestazione in base alle indicazioni del datore di lavoro.
Premesso che non esiste una regolamentazione “legale” della trasferta (che è invece prevista quanto ai riflessi fiscali e contributivi) ma che tale disciplina potrebbe essere contenuta nel contratto collettivo, la trasferta si differenzia dal:
- trasferimento: disciplinato dall’articolo 2103 del codice civile, che consiste nel mutamento definitivo (e non solamente provvisorio come nel caso della trasferta) del luogo di lavoro;
- distacco: disciplinato dall’articolo 30 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, che avviene presso un altro soggetto, ed è anch’esso un provvedimento temporaneo.
Forma – In difetto di una diversa previsione del contratto collettivo il quale, per esempio, imponga l’autorizzazione scritta, deve ritenersi che la richiesta del lavoratore di recarsi in trasferta (ovviamente per esigenze di servizio), come pure l’ordine del datore di lavoro in tal senso, siano validi anche in forma orale (ovvero con una semplice e-mail o, ancora, mediante una procedura sulla intranet aziendale).
Consenso del lavoratore – Trattandosi del legittimo esercizio del potere direttivo da parte del datore di lavoro, non occorre alcun consenso da parte del lavoratore che, a differenza di quanto avviene nel caso di trasferimento in alcune particolari situazioni (es. sindacalisti, disabili eccetera), deve prendere atto della volontà del datore, senza potersi rifiutare. La Corte di Cassazione, con sentenza 20 marzo 2018, n. 6896, ha stabilito che il rifiuto della trasferta opposto dal dipendente, rientrando tra le ipotesi di insubordinazione o di gravi infrazioni alla disciplina e alla diligenza del lavoro, costituisce violazione delle disposizioni impartite dall’imprenditore ex artt. 2086 e 2104 cod. civ. e giustifica il recesso per giusta causa.
Ambito comunale ed extra comunale – Ai fini contributivi e fiscali, ha grande rilevanza il fatto che la trasferta si svolga al di fuori del territorio comunale in cui è sita la dipendenza aziendale presso la quale è in forza il dipendente. Infatti, le indennità o i rimborsi di spese per le trasferte all’interno del territorio comunale, tranne i rimborsi di spese di trasporto comprovate da documenti provenienti dal vettore, concorrono a formare il reddito. Il Ministero delle Finanze, nella circolare 23 dicembre 1997, n. 326/E, ha precisato che, nel caso di trasferte nell’ambito del territorio comunale dove si trova la sede di lavoro:
- le indennità e i rimborsi di spese per le trasferte nell’ambito del territorio comunale in cui si trova la sede di lavoro, tranne i rimborsi di spese di trasporto comprovate da documenti provenienti dal vettore, concorrono integralmente a formare il reddito;
- quanto alla documentazione che, provenendo dal vettore, legittima l’esclusione di tale rimborso dal concorso al reddito imponibile, oltre alla documentazione rilasciata dal vettore (biglietti dell’autobus e ricevuta del taxi), è necessario che, dalla documentazione interna, risulti in quale giorno l’attività del dipendente è stata svolta all’esterno della sede di lavoro;
- non assume alcuna rilevanza l’ampiezza del comune in cui il dipendente ha la sede di lavoro, né l’eventuale ripartizione del territorio in entità subcomunali, come le frazioni, dovendosi comunque aver riguardo al territorio comunale.
Regime fiscale e contributivo: trasferta in Italia – L’articolo 51, comma 5, del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), dispone che le indennità percepite per le trasferte o missioni fuori del territorio comunale concorrono a formare il reddito per la parte eccedente 46,48 euro al giorno, al netto delle spese di viaggio e di trasporto. La stessa norma precisa poi che in caso:
- di rimborso delle spese di alloggio o di vitto, o di alloggio o vitto fornito gratuitamente: il limite è ridotto di un terzo;
- di rimborso sia delle spese di alloggio che di quelle di vitto: il limite è ridotto di due terzi;
- di rimborso analitico delle spese per trasferte al di fuori del territorio comunale: non concorrono a formare il reddito i rimborsi di spese documentate di vitto, alloggio, viaggio e trasporto, nonché i rimborsi di altre spese, anche non documentabili, eventualmente sostenute dal dipendente fino all’importo massimo giornaliero di 15,49 euro.
Per le trasferte all’estero, le regole sono analoghe, tranne il fatto che la misura dell’indennità giornaliera esente è elevata fino a 77,47 euro, e quella dei rimborsi di altre spese, anche non documentabili, sale a 25,82 euro.
Erogazione di importi superiori – Per il Ministero del lavoro (Nota 2 aprile 2010, n. 14), il datore può erogare ai dipendenti un’indennità di trasferta superiore a quella stabilita in sede di contrattazione collettiva, nazionale o di secondo livello, in quanto trattasi di una deroga in melius: nel caso in cui vengano erogati a titolo di trasferta importi superiori rispetto a quanto stabilito dal contratto collettivo gli stessi non vanno assoggettati ad imposizione, fino a che rientrino nei limiti quantitativi indicati dall’articolo 51 del TUIR.
Libro Unico del Lavoro – Infine, le trasferte devono essere riportate nel corpo del cedolino paga: in particolare vanno esposti il numero di trasferte, l’importo giornaliero riconosciuto e la tipologia di esenzione applicata (1/3, 2/3, 3/3). Infine, il datore dovrà conservare anche la documentazione comprovante il fatto che la trasferta è effettivamente avvenuta, per dimostrare, in caso di ispezione, gli spostamenti effettuati dal dipendente e la fedele registrazione sul LUL (Min. Lav., Nota 14 giugno 2016, n. 11885).
A cura di Alberto Bosco – Esperto di diritto del lavoro, Giuslavorista, Pubblicista de Il Sole24Ore. Consulente aziendale e formatore
Fonte: Sistemiamo l’Italia