Con la recente Ordinanza n. 29757 del 15 novembre 2019, la Cassazione Civile Sezione Lavoro ha avuto modo di tornare a occuparsi dell’annoso tema della tempestività dell’istanza di rimessioni in termini ex art. 153 II comma c.p.c.
Più volte, infatti, la Suprema Corte ha precisato come sia necessaria, per il Difensore incorso nell’evento per il quale si chiede la rimessione, la presentazione immediata dell’istanza de qua, non essendo giustificabile un eventuale ritardo.
Nel caso oggetto di commento la Corte d’Appello di Perugia dichiarava improcedibile l’impugnazione, ai sensi dell’art. 348 c.p.c., per omessa notificazione dell’atto di appello avverso la sentenza di primo grado.
Il Difensore di parte ricorrente, infatti, non aveva provveduto alla notificazione dell’atto di appello alla controparte poiché, stando alla ricostruzione dei fatti prospettata dal Difensore stesso, non aveva ricevuto comunicazione della Corte d’Appello in relazione alla fissazione dell’udienza; ciò a causa di un malware che avrebbe infettato i sistemi informatici del proprio studio legale.
In virtù di ciò, a seguito dell’udienza in cui la Corte d’Appello aveva evidenziato la carenza di notificazione alla controparte, il Difensore aveva proposto istanza di rimessione in termini ex art. 153 II comma c.p.c. ma si era visto respingere la richiesta poiché la Corte non aveva più potestas iudicandi avendo già dichiarato improcedibile il ricorso.
Orbene, la Suprema Corte non contesta i fatti direttamente attinenti al merito dell’istanza di rimessione in termini, probabilmente presupponendone la fondatezza, né che il malware che avrebbe infettato il computer del professionista abbia realmente determinato l’impossibilità di avere effettiva conoscenza della fissazione dell’udienza dinanzi alla Corte d’Appello; gli Ermellini, invece, si concentrano sulla tempestività dell’istanza di rimessione de qua poiché, all’udienza effettivamente fissata dinanzi alla Corte, il Difensore del ricorrente era presente tramite suo sostituto ed avrebbe – di conseguenza – già in quella sede potuto richiedere la rimessione in termini ex art. 153 II comma c.p.c., non potendo invece provvedere all’inoltro della stessa alla Corte d’Appello dopo che questa aveva già dichiarato improcedibile il ricorso.
Sul punto, la Corte di Cassazione, precisa: “è noto che la rimessione in termini, tanto nella versione già prevista dall’art. 184 bis c.p.c., quanto in quella di più ampia portata prefigurata nel novellato art. 153 c.p.c., comma 2, presupponga la tempestività dell’iniziativa della parte che assuma di essere incorsa nella decadenza per causa ad essa non imputabile, da intendere come immediatezza della reazione della parte stessa al palesarsi della necessità di svolgere un’attività processuale ormai preclusa (Cass. 11 novembre 2011, n. 23561; Cass. 1 marzo 2019, n. 6102); la mancata presentazione tempestiva (ma soltanto quando oramai privo di potestas iudicandi) dell’istanza di rimessione al giudice davanti al quale è stato omesso l’adempimento (di notificazione alla controparte del ricorso e del decreto di fissazione di una nuova udienza di discussione) esclude la configurabilità di alcuna violazione di legge nel provvedimento impugnato, che la Corte territoriale ha correttamente emesso nella sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 348 c.p.c., in assenza appunto di detta istanza;”.
Come già in precedenza stabilito dai Giudici di Cassazione, quindi, l’Avvocato non dovrà mai “disinteressarsi” o comunque “ritardare” il deposito dell’istanza di rimessione in termini, dovendo invece adoperarsi per la sua presentazione immediata o, quanto meno, in tempo utile a permettere al Magistrato di prenderla in esame.
In virtù di ciò si ribadisce la necessità di un’attenzione massima nelle condotte di natura processuale e, soprattutto, si sottolinea ancora una volta la necessità di adoperarsi per garantire un alto livello di sicurezza informatica all’interno degli studi professionali poiché, sempre più spesso, i criminali informatici tendono ad attaccare i computer dei professionisti e le loro caselle email (in particolare PEC), ciò al fine di porre in essere truffe o, nei casi peggiori, vere e proprie estorsioni.
A cura di Luca Sileni – Avv.to iscritto all’ordine di Grosseto referente informatico dell’ODA di Grosseto e Segretario del Centro Studi Processo Telematico
Fonte: Sistemiamo l’Italia